Enrico Cattaneo

ENRICO CATTANEO Squarcio sul Passato

A cura di Caterina Toschi

Nato nel 1989 a Paderno D’Adda, Enrico Cattaneo ha frequentato a Bergamo l’Istituto d’Arte; alla fine dei suoi studi superiori ha lavorato come assistente dello scultore, nonché ex preside dell’Istituto, Corrado Spreafico.

Nel 2010 s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze (2010-11), per poi approdare l’anno seguente all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo (2011-2012).

Il 25 aprile 2012 partecipa con l’opera Semplicità alla collettiva organizzata dalla Galleria Co2, in occasione della serata d’inaugurazione dello spazio espositivo. Il 2 e il 3 giugno 2012 i muri delle strade di Paderno d’Adda, il suo paese natale, si sono “vestiti” delle sue opere per rendergli omaggio come artista.

Oggi, la Galleria Co2 di Cosimo De Vita e Cosimo Vardaro ha il piacere di presentarvi la sua prima personale curata dalla sottoscritta.

La domanda che sorge spontanea, dinanzi a un suo lavoro, è come l’idea abbia potuto effettivamente trasformarsi in opera d’arte; un interrogativo, dunque, sul metodo, su quel processo creativo che abbia accompagnato la metamorfosi di un semplice materiale, come il cartone, in supporto espositivo per un vero e proprio dipinto da parete.

Siamo a Firenze, Enrico ha bisogno di tele per esercitarsi negli studi accademici, ma la tela presuppone un investimento troppo dispendioso, ed è dunque la necessità di praticare per migliorarsi a condurlo a quella soluzione che ne determinerà poi la firma: cartoni ammassati accanto ai cassonetti dell’immondizia divengono per l’artista un’opportunità, superfici pulite sulle quali far scorrere la mano per creare nuove forme, esercitandosi nella tecnica del frottage con gessetti e pennarelli. Come per ogni tecnica è necessaria la sperimentazione – e dunque la visione dell’errore – per giungere al miglioramento, così il metodo di Cattaneo ha trovato la completezza del risultato grazie a un consiglio. Il suo professore, Andrea Mastrovito, incisore di professione, analizza il lavoro di Enrico cogliendone il punto di forza: è nello strappo che risiede la bravura dell’artista, è grazie al gioco di forme costruite dal gesto che nasce il connubio, e l’intesa, fra creatore e supporto della sua creazione.

Accanto a ciò, Cattaneo si distingue per un’indiscutibile sensibilità verso il “tessuto” del materiale, verso quella che negli anni Venti del secolo scorso sarebbe stata definita la “fattura” del supporto: Enrico, raccontandosi, qualifica il cartone come “complesso”, allontanandosi così dalla “semplicità” di superficie di un foglio o di una tela; ogni imprecisione determina la corporeità di un singolo cartone, ogni dettaglio rappresenta uno strumento da rendere protagonista della composizione, così garantendone la particolarità, e dunque l’unicità. L’attenzione al “riuso” di un materiale povero, come il cartone, non è dovuta alla “tendenza” corrente votata al citazionismo – facilmente apostrofabile come facile e dunque spendibile sul mercato –, ma è legata alla facoltà dell’artista di vedere nel “difficile” – un’imprecisione, un foro, una crepa – una possibilità, un’opportunità creativa offertagli dal proprio piano di lavoro. Cattaneo concepisce la composizione come un incontro non solo di forme, ma di tracce, che erediti quella che potremmo definire la “memoria storica” dell’oggetto prima della sua trasformazione in telaio, e dunque in contesto di destinazione dell’opera, offrendo così al suo osservatore la mise en scène di un dialogo tra ambiente scenico e creazione, tra contenitore e contenuto. Ogni sabato Enrico si reca in discarica per scegliere accuratamente il “cartone giusto”, ponendolo tra i suoi futuri strumenti di lavoro in attesa dell’immagine appropriata da cui iniziare una nuova opera.

La passione per la fotografia del secondo dopoguerra gli ha facilitato la scelta del soggetto, anche in questo caso non fortuita: Cattaneo è curioso, gli piace conoscere nuove storie, interrogarsi sui personaggi protagonisti di un’immagine; raccontandosi, sottolinea il fascino racchiuso nella casualità di uno scatto, come un angolo, un vicolo, una gradinata o un mercato. Proiettando la fotografia sulla superficie cartonata, procede poi con lo strappo, intervenendo sulle zone di luce e inchiostrando quelle in ombra. A giugno, Paderno d’Adda gli ha reso omaggio esponendo sui muri delle strade le sue opere, tratte da alcune foto del paese di cinquant’anni prima; è in quell’occasione, che, dietro le sue spalle – dinanzi a un grande cartone nato da uno scatto di alcuni paesani sul ponte della cittadina – una voce in dialetto bergamasco ha esordito dicendo: «Che lé so me?». Ecco come un personaggio di tante ipotetiche storie si è presentato all’artista del suo ritratto; con gioia Cattaneo racconta la fortuna di aver ottenuto una risposta: la risposta ai tanti racconti la lui “costruiti” sui protagonisti dei suoi cartoni, delle sue opere, sul “perché fu scattata” tale immagine o sul “cosa accadde dopo” nelle vite misteriose dei suoi soggetti.

Oggi, Enrico ha scelto di dedicare la sua prima personale al proprio racconto: una vecchia scatola della nonna paterna – senza alcun criterio di classificazione – gli ha offerto un’invitante raccolta di immagini della sua storia, fotografie a cui è stata affidata la memoria della sua famiglia.

È così che quei cartoni, pazientemente ricercati nelle tante discariche, sono diventati i Raccontastorie del suo passato.

Black or white

 Enrico Cattaneo, Black or White, 2012, 120 x 181 cm

 

La prima opera, Black or White, è dedicata a sua madre: una bambina di circa quattro anni vestita di bianco nella corte di casa. Un cortile scenario di tanti giochi, i cui segni, come la finestra in fondo a destra o lo stendi biancheria sulla sinistra, divengono “indici” della familiarità di un contesto domestico. La scelta del titolo non è casuale, Cattaneo racconta, infatti, come nel gesto del bimbo – guidato in primo piano da una piccola figura in nero, ma rivolto a protendere la mano verso la bambina in bianco – egli veda una scelta che ognuno, nel suo personale percorso, banalmente deve compiere: «sussiste sempre un nero e un bianco in ogni decisione», un collegamento, un’unione tra entrambi i volti di una situazione. È così che il cenno di un bambino premuroso, volto ad accogliere le mani di due coetanee, acquisisce valenza simbolica per l’artista: un compromesso che tutti siamo chiamati ad accettare, l’incontro tra un bianco e un nero lungo il nostro percorso

Il supporto 
Enrico Cattaneo, Il Supporto, 2012, 109 x 126 cm

 

Il titolo è un omaggio non al cartone come supporto generico, ma a questo specifico cartone, nato per risolvere al suo artista una difficoltà: una difficoltà pratica, perché la vita di un’opera non risiede solo nel percorso che ne ha visto la nascita e la formalizzazione, ma anche nel luogo di destinazione, e dunque nel suo tragitto dall’auratico studio dell’artista allo spazio di fruizione del suo pubblico. Così Cattaneo sceglie di dedicare questo lavoro a un piccolo foro, una presa sicura per la mano creatrice nel trasporto dell’oggetto creato. Suo padre con suo cugino più piccolo, immersi nel verde, ne sono i protagonisti. La traccia di un ricordo familiare diviene quindi un’immagine-icona, che celebra il parallelismo tra un’iconografia votata al gesto – la sicurezza per il più piccolo di un appiglio protettivo trovato nel cugino più grande – e una piccola fessura di un supporto, presa sicura dell’artista a protezione della propria opera.

Lo zio Frenk N

 Enrico Cattaneo, Lo zio Frenk, 2012, 164 x 103 cm (2 pz.)

 

 Siamo di fronte a quello che Cattaneo orgogliosamente dichiara essere il suo stereotipo di zio, una figura condivisa da molte famiglie italiane in tutte le sue possibili declinazioni: lo Zio per eccellenza, il preferito, giacca e cravatta con un toscano in bocca a sedere su una Vespa 250, semplicemente lo zio Frenk. In questo caso l’immagine sintetizza un carattere, quasi una “maschera”; così lo ricorda Enrico: la domenica dopo la Messa bevendo un Crodino in piazza con gli altri paesani. Il rispetto per il ruolo del supporto lo porta inoltre a sottolineare come l’opera acquisisca maggior valore per il fatto che l’immagine trovi una sua coerenza, nonché completezza, in due distinti moduli. Due pezzi di cartone su cui “leggere” il soggetto rappresentato, i cui angoli, partecipi nella costruzione visiva dell’immagine, garantiscono un perfetto equilibrio tra piano di lavoro e opera d’arte.

Senza titolo-8  Enrico Cattaneo, Senza Titolo, 2012, 181 x 120 cm

 

 L’immagine della vecchiaia affidata ai nostri nonni spesso ci ostacola nel ricordare che furono anche i protagonisti di un amore giovanile; una coppia, che – racconta Cattaneo – «si è molto amata. Il nonno faceva il muratore; l’immagine che ho di lui è quella di un gran lavoratore che andava la domenica a giocare a carte con gli amici». Quest’opera racchiude, dunque, la dedica di un nipote a una giovane coppia di nonni, negli anni Cinquanta, sorridente su un prato in una giornata di sole. La luce è protagonista dell’opera: la fonte luminosa, proveniente dal vialetto a sinistra delle mura, è bilanciata in diagonale dalla zona d’ombra in basso a destra. Cattaneo ricorda come la sua tecnica, il procedere per strappi e incisioni, ricerchi proprio tale dialogo con il soggetto rappresentato: la luce è un segnale per l’artista, un’indicazione, per la sua mano, sul sentiero da percorrere con lo strappo; il buio una direttiva circa l’area da cui cominciare per inchiostrare.

Senza titolo-10Enrico Cattaneo, Gita Scolastica, 2012, 264 x 214 cm

 

 «Quando ho trovato questa fotografia immaginavo tutta un’altra storia», ricorda Enrico; probabilmente la vicenda di una bella ragazza di città – occhiali neri, calze a rete e tacchi a spillo – giunta nel paesino bergamasco con un’Alfa degli anni Sessanta, contesa tra due amici affascinati e sedotti da tanto “esotismo”. Il bel sogno americano nasconde tuttavia un’altra verità: si tratta del padre di Cattaneo (il giovane a destra della misteriosa fanciulla) e di due coetanei, suoi compagni di classe, in gita al Lago di Garda. La macchina rappresenta solo un “simbolo”, un apparato scenico per la fotografia, certamente più interessante, rispetto al noioso lago, a testimoniare la giornata lontano da scuola. Una presenza, dunque, simulacrale degli anni Sessanta, così come un adolescente immaginava dovessero essere; una fotografia, quindi, “costruita” scenograficamente in base al sogno di tre studenti. Forse, in questo caso, è opportuno consigliare al nostro spettatore di scegliere l’illusione rispetto all’onestà del documento, dopotutto la bellezza nell’arte di Enrico risiede soprattutto nel fatto che costruisca dei Raccontastorie. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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